Andrelica (Andrea&Angelica)

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  1. laBec.
     
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    In molte, dato che non hanno facebook, mi hanno chiesto di postare qui sul forum il prologo pov Angie e quello pov Andrea di questa storia, quindi eccoli qui:

    CITAZIONE
    Angelica, diciassette anni, ha tanta voglia di vivere al meglio gli anni della sua adolescenza e due genitori severi e soffocanti che tentano di impedirle di farlo.
    Completamente diversa da come appare a casa e da quello che il suo nome può far pensare, trascorre i sabati sera a ballare con le amiche e a flirtare con perfetti sconosciuti per “ribellione”.
    Andrea, dopo il divorzio dei suoi, ha deciso di allontanarsi da una madre troppo apprensiva e di andare a vivere con quello che per lui è sempre stato il padre perfetto; disinteressato, troppo svogliato per metterlo in punizione e sempre pronto a sganciare soldi senza fare storie o domande.
    Trascorre le giornate come vuole, non deve rendere conto a nessuno di quello che fa e passa tranquillamente le notti fuori casa rientrando all’ora che preferisce.
    Apparentemente simili, apparentemente entrambi in cerca solo di divertimento e non di una relazione più seria, non alla loro giovane età almeno, finiscono per conoscersi e sconvolgersi a vicenda la vita.

    Prologo pov Andrea:

    Passi lenti, strascicati, pesanti. Il corrimano era lucidato alla perfezione e con maniacale cura, il tappeto rosso sotto la suola delle sue scarpe smacchiato e pulito.
    Nell’aria aleggiava una quiete che solo un palazzo occupato prevalentemente da famiglie e anziani poteva donare.
    Non provò un briciolo di rimorso o dispiacere quando si aggrappò con la mano sudata alla ringhiera alla sua destra, per evitarsi una rovinosa caduta giù per le scale. Il portiere lo avrebbe ammazzato per quelle ditate se lo avesse visto in quel momento, ma se la sarebbe presa come sempre con i bambini piccoli del quinto piano.
    Incespicò nuovamente sui suoi piedi ed imprecò a bassa voce. Non riusciva a ricordare quanto diavolo avesse bevuto quella sera, tantomeno riusciva a ricordare come avesse fatto a tornare a casa.
    Ad ogni passo sentiva che i ricordi della serata si affievolivano sempre di più nella sua mente, avvolti da una foschia impossibile da scacciare.
    Che ore erano? Come ci era arrivato lì? E come era andata a finire con la bionda che si era fatto in discoteca?
    Il nulla. Buio totale.
    Si schiaffò una mano sul viso e giurò a se stesso, per la millesima volta, che non avrebbe più toccato nemmeno un goccio di alcool.
    Perché si riduceva sempre così? Lore era davvero un migliore amico di merda, avrebbe almeno potuto tentare di fargli ricordare il giuramento della settimana precedente.
    Inciampò di nuovo e rise come un idiota, senza un motivo preciso.
    A che stava pensando prima? Boh. Troppo faticoso pensare.
    Arrivò a fatica al secondo piano, la testa che gli girava, la vista sfocata, lo stomaco in subbuglio. Ci mise un secolo a trovare la chiave giusta e ad infilarla nella toppa. Scoppiò a ridere di nuovo, soddisfatto, quando ci riuscì.
    Non c’era nessuno in casa tanto per cambiare. Il bello dell’avere un padre divorziato e in carriera era proprio quello: un immenso appartamento a sua completa disposizione.
    Dopo il divorzio dei suoi genitori, quattro anni prima, aveva scelto di andare a vivere con lui per non doversi sorbire l’irritante presenza e le domande invadenti di sua madre.
    Non aveva mai sopportato le persone che gli stavano troppo addosso e sua madre era sempre stata una di quelle: era un continuo “Come è andata?”, “Cosa mi racconti?”, “Dove vai?”, “Con chi sei?”, “A che ore torni?”, “Fammi uno squillo quando arrivi”. Insopportabile. Così l’aveva allontanata; ci parlava, controvoglia, solo per pochi minuti una volta alla settimana e la vedeva una volta al mese.
    Suo padre, invece, era l’opposto. Non faceva domande, non gli chiedeva mai quando sarebbe tornato, non si interessava delle sue amicizie o dei suoi voti, non gli importava che fumasse. Poteva fare quel che voleva.
    Era il padre perfetto che tutti i suoi amici gli invidiavano, il padre disposto a tirar fuori e ad aprire il portafoglio quando gli chiedeva soldi, il padre che aveva successo con le donne e passava giornate e serate fuori casa.
    Era un modello da seguire per lui, il tipo di uomo che gli sarebbe piaciuto diventare.
    Divertirsi, trovare un buon lavoro, arricchirsi, sposarsi con una bella donna, avere un figlio, divorziare una volta stufatosi di lei e tornare a darsi alla pazza gioia. Nella sua testa aveva la sua vita programmata come se fosse la scaletta di un tema.
    Lo vedeva con suo padre: dire alle donne che si era divorziati e con due figli faceva parecchia presa. Per non parlare poi dell’abbondante conto in banca.
    Per il momento, però, a diciassette anni si limitava a rientrare a casa all’ora che voleva, dopo aver bevuto più di quanto il suo stomaco potesse sopportare.
    A scuola faceva il minimo indispensabile, marinava quando poteva, stando attento a non superare il limite di assenze consentite per non essere bocciato, e copiava durante le verifiche.
    Nessuna ragazza fissa – le cose con l’ultima erano andate piuttosto male e da allora preferiva evitare –, nessun impegno permanente, solo divertimento, senza altri pensieri. Al primo segnale di gelosia da parte di una ragazza si allontanava neanche avesse avuto la peste.
    Metteva in chiaro fin da subito le cose, niente di serio con nessuna, nessuna eccezione.
    Si buttò sul letto a peso morto, un braccio abbandonato sulla fronte e l’altro a penzoloni giù dal materasso.
    Nessuna eccezione. Nemmeno Angelica Trussardi?



    Prologo pov Angelica:
    La musica era alta ed assordante, la piccola sala gremita di gente, l’aria calda e viziata.
    Corpi che si scontravano, pelli sudate che si appiccicavano fra di loro al contatto, mani alzate verso le luci colorate del soffitto.
    Angelica amava le discoteche, amava chiudere gli occhi e perdersi completamente, dimenticarsi della sua identità, della sua vita.
    Quando ballava non era Angelica Trussardi, quando ballava era un’entità sfuggevole come il fumo, era libera, leggera, senza preoccupazioni o paranoie.
    Non esistevano i suoi genitori troppo severi, non esisteva la scuola, i compiti, lo studio. Esisteva solo lei, lei e soltanto lei era al centro del suo mondo il sabato sera, lei e soltanto lei era la padrona di se stessa.
    Si spostò i lunghi capelli scuri su una spalla per liberare e rinfrescare il collo, sul volto un divertito sorrisino mentre si rivolgeva al suo nuovo amico Riccardo, -Vieni spesso qui a Milano?- Gli chiese, giusto per rompere il ghiaccio. Si ricordava solo vagamente che lui non fosse di lì ma di qualche cittadina sperduta in provincia di Varese.
    Non le importava comunque nulla degli spostamenti del ragazzo, ovviamente, le importava solo del suo bel viso e del corpo promettente.
    Lui si grattò la bionda nuca e ricambiò il sorriso, -No, non molto, di tanto in tanto. Ma se avessi un motivo per farlo potrei decidere di venirci più spesso…-
    Gli occhi di Angie brillarono di malizia e, dopo essersi umettata le labbra ed aver accentuato il sorriso, decise che distogliere lo sguardo fingendosi imbarazzata l’avrebbe fatta sembrare molto più ingenua e adorabile di quello che fosse. Il ragazzo era una buona preda, senza alcun dubbio.
    Ultimamente trovava solo cretini che le mettevano fin da subito le mani addosso, proponendole rapporti a tre (o anche a quattro) già dalla prima sera. Il fatto che il principino fosse in grado di coniugare bene i verbi e di sostenere una conversazione le piacque decisamente. Di solito non le importava che il suo passatempo momentaneo fosse anche intelligente, visto che avrebbe dovuto farci di tutto meno che parlarci, ma…si era un po’ stufata dei soliti ragazzi dal quoziente intellettivo pari a zero, voleva conoscere gente nuova.
    Non ci avrebbe mai comunque fatto sesso, andava fino in fondo raramente, quando ne aveva voglia, e solo con Marco, il suo fidato scopa-amico, non era il tipo di ragazza che si lasciava andare subito con un perfetto sconosciuto.
    Le piaceva semplicemente divertirsi, come la maggior parte dei suoi coetanei maschi, evadere dalla vita soffocante di tutti i giorni.
    I suoi genitori le erano sempre stati addosso, le controllavano i messaggi sul cellulare e le avevano sempre impedito di fare quello che avrebbe voluto fin da piccola; avevano deciso per lei la scuola da frequentare, le feste di compleanno a cui poteva partecipare, i vestiti da indossare. Non le avevano mai permesso di vedere i cartoni animati giapponesi perché diseducativi, non aveva mai potuto avere un bambolotto o un Ken perché maschi e quindi dotati, seppur in modo decisamente…ridotto, di un organo genitale maschile. In altre parole i signori Trussardi non volevano che Angelica vedesse le differenze fra il suo di organo e quello degli uomini. Roba da Medioevo.
    Aveva potuto usare internet solo dalla terza superiore e solo per motivi scolastici…era certa che suo padre controllasse regolarmente persino la cronologia; se non altro aveva imparato a cancellare ogni volta gli ultimi siti visitati, tra cui Facebook, quindi almeno da quel punto di vista era libera di fare quello che voleva.
    Ben presto era diventata Angelica solo di nome e il sabato sera, all’insaputa dei genitori che la credevano a casa di una fidata amica a dormire, beveva e si dava alla pazza gioia. Aveva iniziato un anno prima, dopo la prima litigata con i suoi, e aveva scoperto che le piaceva, le piaceva da matti.
    Era l’unico modo che aveva per “ribellarsi” a tutto quello, sapeva che non sarebbe mai stata capace di farlo davanti a loro, non ne avrebbe avuto il coraggio. Nonostante tutto, nonostante fosse maliziosa e sicura di sé con i ragazzi, davanti ai genitori tornava ad essere quella spaventata bambina che aveva il terrore di prendere un brutto voto a scuola per paura di essere sgridata.
    -Che cosa fai di bello?- Le chiese Riccardo, porgendole il drink che aveva gentilmente deciso di offrirle.
    Lei lo prese titubante e gli lanciò una timida occhiata di sottecchi, -Grazie.-
    Riccardo sembrava più il tipo da prediligere le ragazze un po’ introverse, il tipo che sicuramente trovava tenero un comportamento del genere. Probabilmente, in quanto uomo, il credere di avere in mano la situazione, di essere il predatore e non la preda, lo metteva a suo agio.
    Ma sì, credi pure di avere un certo effetto su di me. Illuso.
    -Liceo Classico.- Non poté evitare di arricciare il naso, -Scelta dei miei genitori.- Fece roteare gli occhi e si lasciò andare all’ennesimo sorriso forzato della serata, -Tu?-
    -All’ultimo anno dello scientifico. E non sai quanto ti capisco.- Ridacchiò avvicinandosi po’ di più a lei.
    Era fatta ormai. Sarebbe caduto ai suoi piedi nel giro di pochi minuti.
    Si sarebbe rinchiusa con lui nel bagno o nella sua auto e ci avrebbe passato insieme un’oretta di svago.
    Se fosse stato bravo gli avrebbe dato la possibilità di replicare, in caso contrario sarebbe finito nel dimenticatoio.
    Sedotto e abbandonato.
    In genere erano le donne ad esserlo, con lei era tutto il contrario.
    Le sue amiche la definivano scherzosamente una “playgirl”. Altre l’avrebbero definita una “troia”, ma a lei importava poco del giudizio degli sconosciuti
    Le piaceva divertirsi e basta con i ragazzi, se e quando capitava che diventassero troppo appiccicosi lei li allontanava senza pensarci due volte, non voleva impegni seri, aveva già abbastanza casini e costrizioni nella sua vita, almeno in quello voleva continuare ad essere libera di fare quello che voleva e con chi voleva.
    Almeno questo pensava prima di conoscere Andrea Vergata.
     
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